Michele Gerace

(Roma 1982) Allievo della scuola “cento giovani”, alla quale deve gli occhi con cui guarda al mondo, è avvocato e presidente dell’Osservatorio sulle Strategie Europee per la Crescita e l’Occupazione. Ha co-fondato Fonderie Digitali, ideato “Costituzionalmente: il coraggio di pensare con la propria testa”, ed è un assiduo frequentatore del Bar Europa. Nei fatti, è un agitatore culturale. Lavora presso il Consiglio regionale del Lazio, dove si occupa di diritto e politiche dell’Unione europea.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando adesso?

Non è un lavoro. Tu dici emozionante, io dico necessario. La considero – più che altro – una ricerca di quello che sento di dover fare. La ricerca della nostra identità di cittadini italiani ed europei. Per fortuna, in questa ricerca non sono solo, e poi chiaramente non è un’attività accademica. È un’esperienza individuale e di comunità. Siamo in molti, e tantissime persone le stiamo conoscendo giorno per giorno al bancone del Bar Europa, in Italia e in altri Paesi europei. Partiamo da questo: la nostra identità, alla fine, è anzitutto una questione di radici. Le radici sono importanti. Se ci pensi, noi non lo siamo sempre stati, noi siamo diventati europei, per un’idea che ha cambiato la storia e che quest’anno ha compiuto 60 anni. Potrebbe essere emozionante – dovrebbe essere la cosa più emozionante per ciascuno di noi – eppure non lo è, o almeno non lo è per tutti. Oggi siamo europei che si sono dimenticati del “perché”. Ci dividiamo in tifoserie: da un lato gli euroentusiasti per abitudine; dall’altro gli euroscettici per sentito dire. E ciò è – per tutti – terribilmente alienante. Oggi siamo diventati europei per un dato di fatto, ed io ho questa sensazione netta: non possiamo perdere più tempo. Con in mano una birra fresca al Pigneto a Roma – era l’inizio dell’estate scorsa – assieme ad un gruppo di giovani abbiamo deciso di organizzare un incontro a dimensione di quartiere. Senza grande fantasia abbiamo dato un nome da mettere sulla locandina: “L’Europa siamo Noi”. Sulla carta, un’iniziativa come ce ne sono a centinaia. Il fatto è che il 26 luglio del 2016 al Bar Teatro Bio Torre di Tor Bella Monaca, seduti ai tavolini del bar esattamente come ci si può immaginare persone sedute ai tavolini del bar che parlano tra loro, ci siamo ritrovati in più di cento persone. Esperti di politiche europee, rappresentanti di istituzioni di diversi livelli di governo, studiosi, operatori culturali, cittadini curiosi, e i Tor Più belli. L’incontro si è svolto con le stesse modalità che usiamo a “Costituzionalmente: il coraggio di pensare con la propria testa”. È stato un incontro destrutturato, coinvolgente, politicamente scorretto, propositivo. È durato più di due ore, filate via senza che nessuno desse segno di noia. Superate le 21:00, abbiamo deciso di chiudere. Non fosse altro che per permettere ai rappresentanti del Teatro di Tor Bella Monaca, anche loro presenti all’incontro, di mandare in scena lo spettacolo in programma. Ecco, ho un po’ in mente questa fotografia qui: di giovani – chi più, chi meno – ritratti mentre complottano di fare l’Europa. Quel giorno è nato il Bar Europa! All’incontro di Tor Bella Monaca è seguito quello con i Forestieri di Corcolle. A loro si deve la nostra insegna. Dopo Tor Bella Monaca e Corcolle, tanti altri in Italia e in altri Paesi europei. Quel pezzo di legno con la scritta Bar Europa è la nostra insegna. Rappresenta la nostra piccola rivoluzione. Una protesta contro la brutta faccia dell’Europa, la nostra offerta di cambiamento. Tor Più Belli, Costituzionalmente, Forestieri di Corcolle, Hubbers, Giovani Federalisti Europei, MoMa & The Minoses, Vengo da Primavalle, presto molti altri. Tutti uniti dallo stesso simbolo che racconta la stessa idea di comunità. Con, da qualche mese, anche una rubrica radiofonica al Rock Night Show su Radio Godot. Ci sono giovani sparsi in tutta Europa che la possono portare dove i governi non arrivano. Migliaia di giovani che, più di tutti, danno l’Europa per scontata e si meravigliano del perché ci stiamo mettendo così tanto a realizzare gli Stati Uniti d’Europa. Sono loro che possono portare cambiamento senza limitarsi a domandarlo solamente. Ma iniziando ad offrirlo. Noi con loro. Questo sì che è emozionante!

 

L’esperienza più interessante che hai fatto negli ultimi anni?

Te ne devo raccontare due. La prima è una mappa. L’abbiamo chiamata “la mappa dei nostri sogni”. È un’iniziativa che abbiamo promosso con Costituzionalmente qualche edizione fa. 7000 chilometri con il camper di Sapienza Kite surf in giro per l’Italia. Abbiamo incontrato migliaia di ragazze e ragazzi. Donne e uomini incredibili, tra cui molti insegnanti e dirigenti scolastici, che non conoscono il significato della parola arrendersi. E grazie ai quali si capisce che cinismo e indifferenza prolificano nella testa dei mediocri. Che non esistono luoghi comuni. Che l’impegno e l’entusiasmo portano a realizzare cose che non avresti mai detto. Che ingegno e testa dura rendono possibili progetti anche quando ti dicono che i soldi non ci sono. Che nel piangersi addosso non c’è scacco né vittoria. Che a fare la differenza sono solo le persone. La mappa dei nostri sogni ci ha consentito di incontrare gente di valore e di connettere intelligenza in modo diffuso. Abbiamo messo assieme le energie migliori che abbiamo incontrato, e adesso le stiamo catalizzando per rendere Costituzionalmente parte di un ecosistema sociale, culturale e innovativo che aiuti tutti a rimettersi costantemente in gioco, facendolo insieme. Su un altro fronte, mi viene in mente che per qualche anno ho avuto la possibilità di sedere nel consiglio di amministrazione del Palaexpo e di partecipare alla gestione di tre luoghi diversi tra loro e di unica bellezza: il Palazzo delle Esposizioni, le Scuderie del Quirinale e Casa del Jazz. Un’esperienza incredibile che mi ha fatto conoscere i limiti e le possibilità del nostro Paese. Basta pensare anche solo alle classi creative emergenti. Ho provato a portare il Palazzo delle Esposizioni a creare, strutturare e rafforzare collaborazioni, senza limiti geografici, tra comunità artistica, istituzioni, imprese non profit e profit, istituti finanziari e organizzazioni sociali. Ci sono riuscito solo in parte. Si è trattato di un minuscolo passo verso una rivoluzione culturale in grado di dare spazio ad una generazione di artisti attualmente intrappolata in un piccolo mondo antico autoreferenziale. Sì, ce l’ho con il salotto ammuffito di sepolcri imbiancati della cultura che non ha generato nulla se non un vuoto nella dimensione creativa del Paese. In quegli anni ho capito come, e quanto, la cultura sia capace di provocare delle conseguenze. Di anticipare scenari futuri e visioni. Di farsi strumento di emancipazione della società. A distanza di poco tempo, assieme agli amici con cui abbiamo cofondato “Fonderie Digitali”, ne ho avuto ulteriore conferma. Ci vuole veramente poco per mettere i giovani nelle condizioni di diventare una classe pioniera dell’immaginario. Eppure questo poco è ancora troppe volte così complicato.

 

Una lezione che hai imparato e che racconteresti ad una platea di studenti?

Potrei risponderti dicendo che non si devono abbattere, che devono puntare alto, che la sana competizione è importante, e che se – laddove si compete in modo insano – si collaborasse, sarebbe possibile andare molto lontano. Agli studenti direi di non lasciare che nessuno possa dirgli cosa sono capaci di fare. Di prendersi lo spazio che meritano e di volerlo fortemente. Aggiungo una cosa che abbiamo imparato noi stessi girovagando per “la mappa dei nostri sogni” con Costituzionalmente. Farei notare loro che se questo Paese funziona ancora, è grazie a persone che non smettono di darsi da fare. Che non hanno paura di fallire. Che tentano e ritentano fino a quando non riescono. Magari diresti che vivono nel Paese dei campanelli. Ma poi ti accorgi che anche loro hanno occhi per vedere e orecchie per ascoltare, per indignarsi, disgustarsi e arrabbiarsi per le storture a cui assistono o per le cattiverie gratuite che subiscono per mano di zelanti incapaci, capaci solo di invidia. E che a questi rispondono nel modo peggiore: col sorriso.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Con Monica, la mia fidanzata, l’estate scorsa abbiamo fatto un meraviglioso giro in bicicletta. L’anello di Kerry in Irlanda lo pedali per 180 chilometri. Grazie alla Guinness, alla Smithwicks, a qualche delizioso piatto caldo e a scorte di biscotti fatti in casa dalla nonna, ci abbiamo messo tre giorni. Non è un record, anzi è un tempo assolutamente normale, ma con gli zaini in spalla e le borse ai lati delle biciclette siamo andati alla grande. Abbiamo pedalato con il sole e con la pioggia. Sto per dire una cosa che potrà sembrarti banale: ma se viaggi in macchina, ad eccezione di condizioni metereologiche eccezionali, non ti rendi conto di quanto pioggia e sole possano rallentarti o farti andare veloce. È un contatto ancestrale con la natura ed è potentissimo. Pedalando controvento in discesa o con il vantaggio del sole ho pensato una cosa semplice. Vivere seguendo le stagioni, guardando alla pioggia e al sole come ad una benedizione, è qualcosa che ti carica di una luce incredibile. Dopo questo viaggio, con una frase risponderei: mi piacerebbe lavorare la terra. Prima o poi lo farò.

 

Una persona che conosci bene e con una storia assolutamente da non perdere?

È una domanda difficile perché ne conosco più di una e ciascuna merita di essere ascoltata. Mi cavo d’impaccio e ti propongo Luca Bolognini. È un avvocato ed è il presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy. Ma non è in questa veste che l’ho conosciuto. Quando ci siamo incontrati mi ha raccontato del suo impegno professionale e della sua passione per la politica. Qualche tempo dopo, assieme a lui e ad altri amici, ci siamo trovati a scrivere un “diario di bordo scritto sulle vele”. Un’opera quasi lirica di grande tensione ideale. Sostanzialmente un manifesto per dare voce agli esclusi della società. Gli outsider, per usare un gergo politico abusato. Forse molto di quello che abbiamo scritto in quel manifesto un po’ di anni fa è valido ancora oggi. Le nostre strade si sono incontrate diverse volte e ogni volta con grande intensità di pensiero e di azione. Ho il serio sospetto che si incontreranno nuovamente presto.

 

19 maggio 2017