Maria Letizia Gardoni

(Ancona 1988) Imprenditrice agricola di prima generazione, a 19 anni ha fondato la sua azienda agricola nel cuore della campagna marchigiana. Sette anni dopo è stata eletta Presidente Nazionale di Coldiretti Giovani, la più grande comunità italiana ed europea di giovani imprenditori agricoli tra i 18 e i 30 anni. Innamorata di ogni manifestazione di fascino, adora sporcarsi le mani di terra ed emozionarsi con le storie degli altri.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando adesso?

Il mio impegno quotidiano in Coldiretti. Dove ogni attività mi permette di aiutare a dare dignità e riconoscimento a tanti – da chi decenni fa, instancabilmente, ha sfamato e dato energia ad un Paese debole che usciva da un drammatico conflitto, a chi oggi disegna i nostri paesaggi e costruisce un nuovo modello di crescita, o ancora a chi, magari, domani risolverà i disequilibri internazionali grazie ad una nuova idea di cibo. Mi emoziona vedere come ciò che ci aspetta si possa costruire partendo, letteralmente, dalle radici. Due anni e mezzo fa ho iniziato questo viaggio che mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi diversi, a cogliere il valore delle interazioni, a misurare la potenza dei gesti umani. La cosa che più mi emoziona è sentire di appartenere ad una comunità di quasi 2 milioni di persone che hanno fatto le tue stesse scelte di vita e che sanno sempre da che parte voltarsi. È questo il motivo per cui, con loro e per loro, spingo ogni giorno perché le politiche pubbliche siano costruite a partire dal nostro nuovo modello agricolo, che è guidato dalle generazioni più giovani ed è fatto, anzitutto, di cultura.

 

L’esperienza più interessante che hai fatto negli ultimi anni?

I miei ultimi anni sono stati un susseguirsi di esperienze incredibilmente edificanti. Ed è avvenuto tutto così velocemente che non sono sicura di averne già assorbito tutto il valore. Ce ne sono due, comunque, che mi hanno segnato profondamente. Entrambe avvenute nel mese di febbraio. La prima, nel 2011, quando nell’aula dell’università, nel bel mezzo di una lezione della magistrale, ho capito che quel tipo di formazione non mi sarebbe bastata, mentre c’era qualcosa, fuori, che avrebbe potuto insegnarmi molto di più. Mi sono alzata, senza far rumore, ed ho chiuso la porta di quell’aula dietro di me. Da quel giorno ho dedicato tutta me stessa ad alcuni ettari di infinita bellezza. La seconda, nel febbraio di tre anni dopo, quando 70 mila giovani come me – sognatori come me, vitali come me – mi hanno dato in prestito i loro progetti e le loro identità con la convinzione che io ne avrei avuto cura e rispetto. Da quel giorno non sono più soltanto Letizia, ma la voce di una generazione che ha ripreso in mano la propria vita e ne sta facendo qualcosa di non-ordinario: una missione, che ha lo scopo di ridisegnare un Paese che non oscilla e che sappia, a sua volta, creare quegli Stati Uniti d’Europa in cui noi, nativi europei, crediamo profondamente. 

 

Una lezione che hai imparato e che racconteresti ad una platea di studenti?

Consiglierei loro di sentirsi sempre all’altezza, in ogni contesto e in ogni circostanza. Di non essere mai schiavi dei condizionamenti, neanche di quelli che molto spesso ci imponiamo da soli. Di riscoprire il senso della fatica e, quindi, l’orgoglio della conquista.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Costruire un progetto solido di cooperazione internazionale con giovani di tutto il mondo, per immaginare e realizzare modelli di sviluppo adatti a quei Paesi dove oggi sono gli stessi agricoltori a morire di fame. E poi, nello stesso tempo, imparare a suonare il pianoforte, portare il mio cavallo a correre sulla spiaggia, fare un lungo viaggio itinerante da sola.

 

Una persona che conosci bene e con una storia assolutamente da non perdere?

Tutte le persone protagoniste di quelle storie che hanno come minimo comune denominatore il coraggio, la perseveranza e un pizzico di incoscienza. Come Alice, che invecchia il suo vino sotto il livello del mare. O Giovanni, pastore contemporaneo che produce mozzarella di pecora. Oppure ancora Francesco, che tra una semina di grano antico e una raccolta di mais autoctono ha ridato vita ad un borgo montano da cui tutti erano fuggiti. E che oggi, invece, anche grazie a lui è tornato a vivere.

1 luglio 2016