Paolo Mazzoli

(Roma, 1955) Dalla laurea in fisica a fare il maestro elementare il passo è stato più breve di quanto uno possa pensare. Ha insegnato ai bambini piccoli per 13 anni. Nel frattempo ha portato avanti il suo secondo pallino: studiare e proporre percorsi didattici di scienze a insegnanti della primaria e della scuola dell'infanzia. Poi dirigente scolastico, per altri 15 anni, e agit-prop dei colleghi romani e del Lazio. Chiamato al Ministero da Marco Rossi-Doria (sottosegretario nei governi Monti e Letta) perché gli serviva un "preside per fare le cose senza dimenticarsi le procedure". Da ultimo direttore generale Invalsi, ma prima anche autore di quesiti di matematica, per il gusto di fare una cosa giusta ma antipatica. In pensione da pochissimo e con tanta voglia di rimettersi in gioco.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando?

Da poco sono andato in pensione, dopo aver speso gli ultimi anni all'Invalsi. Non è un lavoro, ma diciamo che sto continuando molto a ragionare e ad occuparmi di apprendimenti, soprattutto in questo periodo in cui le conseguenze del Covid-19 su quello che le ragazze e i ragazzi imparano, o dovrebbero imparare, può facilmente diventare irrecuperabile. In generale mi emoziona parlare ai giovani. In questo periodo mi è successo due volte e sto propiziando altre occasioni. La prima volta si è trattato di una conversazione in video con una studentessa marchigiana diciassettenne che aveva letto un mio testo sull'insegnamento delle scienze ("Chi vince il tiro alla fune?", pubblicato dall'MCE, il video si trova su Youtube) e voleva porre delle domande a me e alla co-autrice, Maria Arcà, biologa di 82 anni. Sentire Isabella dire che nel liceo le scienze si studiano ma... non si fanno vivere, è stato toccante. Il secondo episodio è stato un incontro con 90 studentesse – 89 ragazze e un ragazzo – del quarto anno di scienze della formazione primaria dell'università di Genova. Novanta future maestre di scuola primaria. Mi hanno fatto una trentina di domande micidiali sulla valutazione degli apprendimenti degli studenti, sull'inclusione, sulla reale utilità delle prove Invalsi. Ho passato tre ore intense e tese, ma è stato un vero piacere intellettuale. Ne sono uscito ancora più convinto di quanto sia necessario ripensare il nostro modello educativo e la nostra capacità di misurazione di ciò che è utile e funziona per formare cittadini responsabili e pronti ad affrontare la vita ovunque si troveranno a viverla. Aggiungo che molto spesso sogno i bambini della scuola primaria dove lavoravo negli anni 80.

 

Una cosa che il Covid-19 ti ha tolto, ed una che invece ti ha dato?

Uno dei miei più cari amici, malato di Parkinson, ha avuto il Covid-19 in forma grave. Per un mese ho vissuto nell'incubo di non rivederlo più. Ora è tornato a casa è mi sfotte perché lui è immunizzato e io no. La pandemia mi ha dato il piacere di sostenere i due medici della mia famiglia: mia moglie, che lavora in ospedale , e mia figlia, all'epoca della prima ondata giovane medico abilitata d'ufficio e arruolata nelle unità regionali speciali (Uscar). Ricordo ancora una sera dei primi giorni di aprile quando avevo preparato la cena per tutti. A un certo punto mia figlia parte con Pedro Capò y Farruko "Calma" (Vamos pa' la playa, Pa' curarte el alma...) e madre e figlia si mettono a ballare anche se stanche morte, e forse proprio per questo.

 

Il pensiero laterale più ricorrente di queste settimane?

Non so se sia laterale, e neppure se sia un pensiero. È più che altro un sentimento dubbioso su come sono fatto realmente. Mi torna spesso in mente la battuta di Little John nel Robin Hood di Disney: «Sai una cosa, Robin? Mi è venuto un dubbio! Noi due siamo brava gente, o mascalzoni?». Ho vissuto una vita a capire come le persone capiscono e allora mi viene il dubbio che mi importi soprattutto capire io qualcosa, baloccarmi con i massimi sistemi, con la scusa che l'insegnamento di base non può che essere sui massimi sistemi.

 

Una lezione imparata anni fa e che racconteresti ad una platea di studenti?

Tante, ma una ha cambiato per sempre il modo di vedere gli altri, e il mondo. Avevo 16 anni e vivevo la mia prima storia d'amore. Dopo otto mesi, la ragazza con cui stavo mi confessa a mezza bocca che aveva rivisto "uno grande", che conosceva prima che ci mettessimo insieme, e che forse era meglio che ci lasciassimo. Io passo due giorni come un pazzo, disperato. Poi vado da un mio amico più grande di me che mi faceva un po' da padre (dato che il mio se ne era andato), Renzo. Lui mi lascia sfogare, piangevo ininterrottamente, poi mi dice: «Supponi che ogni giorno una persona che incontri sotto casa ti facesse un piccolo regalo. Per tanti giorni, diciamo per otto mesi. E poi un giorno esci di casa e quella persona non c'è più. Niente regalo. Pensi che avresti diritto a lamentarti? A sentirti il ragazzo più sventurato della Terra?». Ecco questo episodio ha come curvato il mio modo di vedere la vita per sempre. Da allora quasi sempre riesco a cogliere la bellezza delle cose che mi accadono e a sopportare abbastanza bene il fatto che gli altri non abbiano in fin dei conti alcun obbligo nei miei confronti.

 

L'ultima volta che hai riso o sorriso?

Ieri. Sono andato ai funerali del commesso del supermercato sotto casa, morto di Covid, Riccardo. Un cinquantacinquenne fantastico. Gioioso, affettuoso, acuto. E lì, al Tempietto egizio del Verano a Roma, c'era una sua foto mentre mostra, vicino al suo volto, un cartello preso dal reparto frutta e verdura con su scritto "carciofi sfusi. 1,18 € al pezzo". Gli ho sorriso, maledicendo questa assurda situazione che lo ha portato via così presto.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Candidarmi come amministratore locale, localissimo. Il mio municipio di Roma. Al limite il mio condominio. Oppure fare il consigliere segreto di un politico, giovane e sufficientemente spregiudicato. Oppure mettere su un gruppo di "curatori di quartiere", tipo "Roma retake". Oppure organizzare corsi estivi per neo dirigenti scolastici e neo docenti. Però anche addormentarsi al sole davanti a un minuscolo porto mediterraneo non sarebbe male.

Bambina Salta Ombra

La foto scelta da Paolo: scuola elementare di Corcolle, remotissima periferia romana, 1986. Si lavora sulle ombre. «Maestro, guarda, ce l'ho fatta! Mi sono staccata dalla mia ombra».