Francesco Rampa

(Pavia 1978). Appassionato di viaggi, letteratura e cinema, è il capo del Dipartimento di Sicurezza Alimentare dello European Centre for Development Policy Management (ECDPM) a Maastricht. Dopo gli studi in Bocconi e il Master in Economia dello Sviluppo a Oxford, si è specializzato in cooperazione internazionale, negoziati commerciali, innovazione tecnologica e sviluppo agricolo, pubblicando articoli scientifici e policy paper e lavorando al Ministero del Commercio della Papua Nuova Guinea, a Palazzo Chigi per l’Ufficio G8 della presidenza italiana nel 2009, e come consulente alla Divisione Acqua della FAO. Ad ECDPM lavora adesso sempre di più sull’impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza alimentare.

Qualcosa di particolarmente emozionante a cui stai lavorando adesso?

Da più di dieci anni lavoro per sostenere i governi e gli agricoltori locali (e i loro partner internazionali) nella formulazione e attuazione di politiche e investimenti per migliorare l’agricoltura e la sicurezza alimentare in Africa. Un lavoro emozionante e in continua trasformazione. Una piccola grande novità, ad esempio, è il fatto che la comunità internazionale sta finalmente capendo che l‘Africa è una risorsa per il futuro di noi tutti: per sfamare la crescente popolazione mondiale entro il 2050 dovremo aver raddoppiato l’attuale produzione di cibo, e il 60% della terra coltivabile ma non ancora utilizzata sulla Terra è proprio in Africa. Se non capiamo questo e se non facciamo niente avremo un serio problema di approvvigionamento e di nutrizione non solo in Africa, ma là dove il cibo da decenni non manca. In aggiunta, sta crescendo la consapevolezza che per sradicare la povertà, nutrirci in modo sostenibile e adattarsi ai cambiamenti climatici, è necessario creare sinergie tra diversi obiettivi e attori: scambi commerciali più efficaci tra zone con surplus e con deficit di produzione di cibo; crescita della produttività agricola; protezione degli ecosistemi; diete più sane; sviluppo economico più inclusivo; sistemi alimentari più sostenibili (non solo la produzione ma anche la trasformazione, la distribuzione e il consumo di cibo devono trasformarsi, per evitare di distruggere le risorse naturali e emettere un terzo dei gas serra globali, come invece avviene oggi). È una sfida emozionante perché riguarda tutti: riguarda me come cittadino, e quello che metto nel piatto tutti i giorni. Per questo il “Dipartimento per la Sicurezza Alimentare” che gestisco ora diventerà il “Dipartimento per i Sistemi Alimentari Sostenibili” nella nuova Strategia di ECDPM 2017-2021. Ho tanto da imparare, soprattutto sul lato ambientale, ma amo costruire ponti tra il globale e locale, tra le persone e le politiche.

 

L’esperienza più interessante che hai fatto negli ultimi anni?

Non ho esitazioni, rispondo Papua Nuova Guinea. Anche se ormai sono tornato in Europa da oltre un decennio, i due anni vissuti a Papua sono stati senza dubbio l’esperienza che mi ha cambiato la vita. Non solo ho capito davvero come funzionano l’economia e la politica, formale e informale, di un Paese in via di sviluppo. Ho anche vissuto in un paese incredibile, in cui la «modernità» (e l’«uomo bianco») sono arrivati solo negli anni ’50. Lo Stato è per la stragrande maggioranza della popolazione una cosa lontana, non ci sono praticamente strade né corrente elettrica. Ho incontrato persone diversissime da me, ma che mi hanno amato, rispettato e insegnato moltissimo; e che mi sono sembrate felici almeno quanto tanti occidentali (sicuramente sono meno stressate). E poi Papua è uno dei Paesi con la maggiore biodiversità: montagne alte 4 mila metri, vulcani appena emersi dall’oceano, barriere coralline e isolette mozzafiato, foreste pluviali e fiumi sterminati. Per non parlare della diversità etnico-linguistica: 800 lingue totalmente diverse tra loro (un sogno per gli antropologi), e praticamente senza turisti. Lì ho ancora molti amici. Prima ci dovevamo scrivere lettere, ma da un paio di anni anche loro hanno internet sui cellulari (che ricaricano con il generatore). Quasi tutti i giorni ricevo foto dal villaggio di Moke, comprese quelle dei maiali che stanno ancora allevando per me in attesa che io mi sposi: a Papua la moglie si compra coi maiali, e ovviamente la mia famiglia papuana vuole che mi sposi a Moke.
Certo, anche lavorare alla Presidenza del Consiglio per il G8 de L’Aquila del 2009 non è stato male. Cercare di aiutare l’Africa – anche se il Presidente del Consiglio di allora Berlusconi aveva, diciamo, altre priorità – è stata senza dubbio una bella sfida… anche perché arrivata nel momento in cui il G8 finalmente lasciava molti temi, su cui aveva la pretesa di decidere da solo, ad un G20 altrettanto imperfetto ma senza dubbio più rappresentativo. Abbiamo lavorato giorno e notte per mesi. Ma ci siamo divertiti un sacco.

 

Una lezione che hai imparato e che racconteresti ad una platea di studenti?

Direi loro di non accontentarsi, di puntare sempre “in alto”; non per la carriera in sé, ma per avere la possibilità, dall’“alto”, di giocare un ruolo importante per il cambiamento (sul cosa cambiare, onestamente, c’è solo l’imbarazzo della scelta!). Questo però, senza mai dimenticare l’altra grande lezione: mai prendersi troppo sul serio (come nel nostro caso al G8). Infine, vorrei menzionare l’importanza di sapere ascoltare chi si ha di fronte, davvero senza alcun tipo di pregiudizio: se mi ritengo soddisfatto del mio percorso lavorativo e delle mie relazioni sociali, lo devo soprattutto a quello.

 

Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?

Finire, e spero pubblicare, il romanzo che sto scrivendo: “Uccelli del Paradiso”, ambientato a Papua. Da quando ho lasciato quell’incredibile Paese, e quelle persone che mi hanno praticamente adottato, ho sempre avuto dentro un romanzo su Papua (e su di me, in fondo). È nato da solo, senza che neanche me ne rendessi conto, nelle sere passate a guardare l’Oceano sul terrazzo della mia casa di Port Moresby. Ma solo quattro anni fa, all’improvviso, mi sono reso conto che volevo scrivere. Nel giro di un paio di mesi la trama dei 13 capitoli era pronta, il senso e le emozioni delle tre parti del romanzo decisi. Ho finito di scrivere da poco la seconda parte. Ho un po’ rallentato nell’ultimo anno a causa del lavoro che mi lascia sempre meno tempo, ma ce la farò!
E poi scusami, ma un’altra cosa te la devo proprio dire: prima o poi andrò a Milano a cercare Javier Zanetti, il Capitano indimenticato dell’Inter, un’altra mia grande passione. Lo devo abbracciare per tutto quello che ha fatto come uomo sportivo, e per quello che continua a fare come filantropo e dirigente per i bambini di tante parti del mondo, belle ma meno fortunate, a partire dal Chiapas in Messico.

 

Una persona che conosci bene e con una storia assolutamente da non perdere?

Mulugeta, un caro amico etiope. Dopo essersi laureato all’Università di Addis Abeba, ha vinto una borsa di studio per il Master in Cooperazione Internazionale a Pavia. Come altri studenti africani, a fine Master, nel 2007 Mulugeta ha svolto un semestre di internship con noi di ECDPM a Maastricht, utilizzando le sue ricerche accademiche per la preparazione di documenti di policy, che abbiamo usato ad esempio per alcuni negoziati sugli aiuti pubblici dell’Unione Europea ai paesi Africani. Ha poi vinto un posto come dottorando nella Facoltà di Economia di Pavia. Tornato a casa, Mulu, come lo chiamano gli amici, ha insegnato all’Università di Addis. Lui ama la ricerca, e inizialmente il suo sogno era quello di diventare professore. Ma in Etiopia purtroppo gli stipendi universitari sono molto bassi e l’accademia non ha un grande impatto sulla lotta alla povertà. Così, mettendo in campo tutto il suo coraggio e la sua intelligenza, Mulu ha fondato una piccola società, la G4, che si occupa di impianti e reti idriche, in un Paese in cui il problema dell’accesso e della distribuzione dell’acqua è ancora tra le cause principali di povertà estrema e conflitti inter-etnici. Il nome G4, autoironico, sta ad indicare i fondatori, cioè lui, i due fratelli e un altro amico. E Mulu lo ha scelto anche perché ci eravamo molto divertiti, durante il suo dottorato e poi le mie frequenti missioni ad Addis, a commentare le mie disavventure al G8 italiano. In pochi anni, la G4 è diventata azienda leader nella fornitura di impianti e reti idriche in Etiopia, con contratti milionari sia con il Governo locale sia con i principali donatori internazionali. Anche io, anni fa, alla ricerca di una maggior impatto sulla realtà, ho rinunciato alla carriera accademica. E così, quando Mulu viene in Italia per comprare le migliori pompe idriche al mondo, o io vado ad Addis per incontri all’Unione Africana, brindiamo alla nostra scelta e ai benefici che le sue reti idriche portano alle zone rurali dell’Etiopia, ridendo ancora dei G8 e dei G4.

16 settembre 2016