L’esperienza più interessante che hai fatto negli ultimi anni?
Decidere di invitare Luigi Di Maio ad Harvard. È stata un’esperienza umanamente molto faticosa. Sia io sia i miei compagni di Yes Europe Lab abbiamo subito molti attacchi personali anche solo per aver organizzato l’evento. Qualche relazione ce la siamo anche giocata. Ma l’abbiamo fatto convinti che andasse fatto. Uno dei capisaldi di Yes Europe Lab è la creazione di dialogo. Non ci sarà un silver bullet, una soluzione magica che risolverà in un colpo solo lo stallo dell’Unione Europea. Non ci sarà un partito unico pro-Europa che si prenderà tutte le istituzioni nazionali e comunitarie e risolverà tutti i problemi dell’Unione Europea. Il vero lavoro sarà quello di trovare, all’interno di tutti gli schieramenti che hanno un ruolo in Europa, degli interlocutori coi quali confrontarsi. L’idea di invitare Di Maio è partita proprio da questo: tendere la mano a chi la pensa diversamente da noi e verificare se ci fossero le condizioni per costruire un dialogo sull’Europa. Partendo dalla convinzione che non c’è Italia senza Europa, ma non c’è neppure Europa senza Italia. Di Maio mi è sembrato a tratti una persona disposta a dialogare e genuinamente curiosa, in altri momenti più preso da un tono e ruolo ufficiali meno dialoganti. Le ultime esternazioni del Movimento 5 Stelle su migranti ed Europa oltretutto non mi fanno sperare per il meglio.
Una lezione che hai imparato e che racconteresti ad una platea di studenti?
Fate molte domande. E ascoltate le risposte. Ascoltate la musica dietro le parole. Questi ultimi tre anni negli Stati Uniti mi hanno insegnato ad ascoltare. È un esercizio non banale. In molti casi ci preoccupiamo di cosa dire, di come apparire, di voler dimostrare di essere all’altezza. Ma molto spesso basta ascoltare. È la base per essere bravi mariti e brave mogli, genitori saggi, figli compassionevoli, buoni amici. E professionisti competenti.
Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?
Costruire i mobili del mio prossimo appartamento. Negli ultimi dieci anni della mia vita ho usato il corpo principalmente per spostare la mia testa dal punto A al punto B. Voglio recuperare la manualità. Mio nonno paterno, dopo aver combattuto entrambe le guerre mondiali, lavorava come carpentiere all’ippodromo delle Capannelle di Roma. Mio nonno materno invece come hobby smontava e rimontava orologi. Credo queste attività li abbiano aiutati a preservare la salute mentale.
Una persona che conosci bene e con una storia assolutamente da non perdere?
Una più di tutte. Siamo cresciuti nello stesso quartiere della profonda periferia romana. Ha perso il padre in circostanze non meglio precisate e questo l’ha lanciato in una spirale di depressione, droga e tentativi di suicidio. Eravamo poco più che adolescenti quando andavo a trovarlo in un centro di igiene mentale. Capelli giallo fluorescente, bruciature di sigarette sulle braccia, gonfio e con lo sguardo annebbiato dalle benzodiazepine. Ora vive in Belgio. Fa il cameriere e si è fidanzato. È la persona più felice che conosca. La sua storia è un inno alla vita.
16 giugno 2017