L’esperienza più interessante che hai fatto negli ultimi anni?
Come impegno civile e politico, ho oramai collezionato una impressionante sequenza di “fallimenti di successo”. Ne vado fiero. Considero queste esperienze le più preziose ed interessanti, perché non centrate su di me, sulla mia crescita o carriera personali, ma sul bene comune. Ho creato la campagna Coalizione Generazionale nel 2005, il movimento degli Outsider nel 2010, e ho co-fondato e scritto il programma di Italia Unica di Corrado Passera nel 2013. Tutte iniziative bellissime, che mi hanno permesso di elaborare proposte innovative per il miglioramento del Paese in cui vivo e voglio continuare a vivere con chi amo. Grazie a queste esperienze – di meraviglioso insuccesso ma non di mera testimonianza – ho maturato un patrimonio di luci e consapevolezze civili, che ho deciso di mettere a disposizione di Movimenta, e soprattutto ho conosciuto persone di valore e amici che restano e grazie ai quali guardo al futuro con maggiore speranza. E poi sono un arenauta – vale a dire un socio dell’associazione RENA, che è un’isola felice, un’esperienza da augurare a ogni giovane cittadino che ricerchi un’opportunità di impegno nell’innovazione civile. Insomma, ne ho citate diverse ma alla fine l’esperienza più interessante è sempre stata la stessa: l’incontro con altri, l’umanità con cui mi hanno stupito.
Una lezione che hai imparato e che racconteresti ad una platea di studenti?
Tendo a de-idealizzare ciò che faccio. Credo sia una sorta di “maledizione della sobrietà” che mi porta a costruire e ottenere solo ciò che non mi travolge (più) sul piano emotivo. Certo, le emozioni restano, ma sono sotto controllo. Per scrivere bene un libro, un racconto o un parere legale, mi devo dedicare con impegno, precisione e attenzione. C’è poco “raptus poetico”, per quanto mi consideri uno anche creativo. È il sudore, bellezza! Quella “traspirazione” di cui parlava Thomas Alva Edison, prevalente rispetto all’ispirazione, che rimane indispensabile ma è comunque poca roba se rapportata agli altri ingredienti. Il rischio di questa de-idealizzazione è quello di ottenere qualcosa quando ormai non lo desideri più, ma è anche vero che questo aiuta a tenere i piedi per terra, o almeno a volare con giudizio. Ecco, a degli studenti racconterei come de-idealizzare con dolcezza. Senza perdere l’entusiasmo, la fantasia e la speranza nella “staffetta umana”. Un’altra lezione che ho imparato è che bisogna osare, non temere di immaginare, di andare fuori strada o rompere gli schemi solo perché uno decide di non seguire il consiglio dei baroni e degli incumbent che ci richiamano a percorsi inutilmente ortodossi pur di tenerci a bada: là fuori è pieno di ligi passacarte, in tutti i contesti, che non sposteranno il mondo di un centimetro. Noi possiamo scardinare il già detto, il già visto, il già pensato. Persino il già fatto. Rispettando le persone e i loro diritti ma anche scandalizzando le retroguardie. Quando, a 28 anni, appena eletto presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy, mi misi a fare il controcanto all’accademia e alle autorità costituite, non pochi reagirono con sufficienza o pregiudizio. Con gli anni ho capito che l’importante è non smettere mai di prepararsi, non dare mai niente per scontato, aiutare il tempo ad essere galantuomo. E poi ad una platea di studenti direi di puntare su quello che sanno fare meglio, e applicarlo al lavoro come al resto della vita, ma non facendo le cose come sono abituati a fare: perché certamente non solo in Italia, ma in Italia più che altrove, siamo soliti pensare che l’unico modo per coltivare il proprio talento sia continuare a fare ciò che già si sa fare bene. Io penso, invece, che la sfida stia nello spostare il proprio talento verso campi nuovi, creando in questo modo abbinamenti che prima non esistevano. A me, ad esempio, piacerebbe un giorno occuparmi di abbigliamento e accessori salva-privacy. Magari da grande farò lo stilista!
Una cosa che non hai ancora fatto ma che prima o poi farai?
A parte la casa di moda salva-privacy? Vorrei rilevare palazzi storici abbandonati, nei borghi italiani, per restaurarli e riportarli a nuova vita, anche rendendoli intelligenti con l’aiuto dell’Internet delle cose (rianimate, antiche), e avviandoci comunità di innovazione sociale; chiaramente servirebbero progetti e investitori, ma mi piace pensare che altri vorranno unirsi attorno a questa idea. Oppure scriverò libri interattivi con l’ambiente fisico in cui si trova chi li legge, un’evoluzione dell’iper-testo. Anche se confesso che l’unica cosa che prima o poi vorrei davvero fare non dipende da me: ed è diventare nonno.
Una persona che conosci bene e con una storia assolutamente da non perdere?
Johnny Dotti. Molti parlano a sproposito, o anche solo in astratto, di welfare society ed economia sociale, mentre Johnny le realizza veramente, sulla propria pelle, ogni giorno. Vive di – e per – questi valori e queste prospettive. È un padre, un marito, un imprenditore sociale, un monaco novizio, che abita in comunità, che condivide e dà speranza per un mondo nuovo, più libero e solidale. Non vado oltre nella descrizione, perché basta guardare un suo video o parlarci per pochi minuti, per capire la forza della sua testimonianza. Ha conquistato persino me, un giurista ateo de-idealizzante e iper-tecnologico, una missione quasi impossibile.
5 ottobre 2018